HOME    GALLERY    ITALIANO    DEUTSCH    FRANCAIS    ENGLISH    PERSONALI-INFO    COLLETTIVE    BIBLIOGRAFIA    NEWS-DIVERSI

 

2003

Lugano
 
Galleria L'Incontro (presentazione di Dalmazio Ambrosioni)



Due alberi, tempera, 21x29.5,2003

 
La pennellata poetica di Ro Milan
Una vecchia conoscenza ritorna alla Galleria L’Incontro di Lugano: è Ro Milan che ci porta una splendida serie di paesaggi quasi tutti nei toni che gli sono cari, i verdi, i gialli e le terre che sfumano nel violaceo. È un piacere per gli occhi e per lo spirito far scorrere lo sguardo su queste immagini di natura, di pace, di silenzio. L’uomo, come figura, è del tutto assente, ma lo si ritrova nella ben ordinata disposizione dei campi arati, dei prati, delle messi. Spira da ognuna di queste tele un senso di serenità quasi sognante che pur non perde il contatto con la realtà: alberi che sono alberi, campi arati, altri da cui spuntano pianticelle in ben ordinate file. Una natura vera, vista però con l’occhio del poeta. Perché Roberto Milan è anche poeta, un valido poeta che riesce a trasporre le immagini della sua sensibilità letteraria in oli e tempere. Assai giustamente Alberto Nessi nella presentazione del piccolo catalogo parla di zone del sogno, un sogno che traspare non sottoforma di fantasia onirica ma semplicemente nel malinconico sfumare delle immagini in un alone di mistero. Come spesso nelle sue opere Ro Milan ritaglia superfici nette in colori schietti, gialli squillanti, verdi dalle più svariate tonalità e caldi bruni, che accomuna in forme geometriche che però nulla hanno di freddo ma si compongono in paesaggi di estrema naturalezza. Anche i suoi cieli rispecchiano nei toni la colorazione delle terre sottostanti: nubi che si tingono di giallino in cieli in cui è facile ravvisare una sfumatura di verde. Solo un albero bellissimo e singolo si staglia contro uno straordinario sfondo rosso, un colore che qui appare in pochissime altre opere dell’artista. Incantevoli anche certe quasi miniature: paesaggini racchiusi in pochi centimetri quadrati che nulla perdono della loro originaria vastità e che spesso sfociano proprio in quella dimensione di sogno a cui accenna Nessi.

Nato a Tortona ma vissuto fin dalla gioventù a Chiasso, ritrova nella sue opere il sapore delle sue terre d’Oltrepò, non meno del gusto dell’ordinata disposizione del campi del Mendrisiotto, bordati da rogge e da filari di alberelli. Anche il Monte Generoso fa apparizione, ma senza nulla di quelle immagini fotografiche o “turistiche” per trasformarsi, pur mantenendo la sua ruvida natura, in una montagna sognata. Qua e là spuntano anche paesaggi meno nostrani come la laguna veneta, tenuta quasi in toni grigi e violacei, come appare attraverso la bruma di un temporale incombente, oppure uno squarcio nordico in un suo “Paesaggio germanico”. Nonostante tutto ciò la mostra dà un’impressione d’assoluta omogeneità, ma non mai di monotonia.

È un ritrovare immagini già amate e conosciute in passato da Roberto Milan, un artista che mantenendosi del tutto fedele a se stesso riesce pur sempre a rinnovarsi e a creare nello spettatore nuove sorprese per regalargli momenti di autentica gioia e di ispirata serenità.

Sussy Errera


Il paesaggio trasformato da popolazioni invisibili

La pittura di Ro Milan corre sulla strada dal figurativo all'astratto. Un'astrazione prudente nelle sue forme geometrizzate e più decisa nella costruzione prospettica dell'opera. Nasce dall'impianto classico del quadro, si sviluppa attraverso il passaggio nel Novecento italiano (come giustamente rilevato in un breve saggio di Alberto Nessi) e nella metafisica, infine approda in un lirismo poetico, molto ritmato. Ne abbiamo una corposa prova nella personale alla Galleria L'Incontro di Lugano-Molino Nuovo, tra olii e tempere.

Tema costante dell'opera di Milan è il paesaggio, o meglio il territorio, cioé la natura abitata e trasformata. Manca l'abitazione, la figura umana, ma ha lasciato evidenti tracce nella costruzione di questo territorio in cui ha lavorato su una realtà preesistente, per lasciare segni evidenti della sua invisibile presenza. Di questo incontro fra paesaggio e abitanti, Milan coglie un possibile risultato, letto prevalentemente nel suo valore simbolico. La natura cessa di essere tale per assurgere a referente dell'esistenza con le sue sfaccettature. Il distacco prospettico e il coinvolgimento poetico della pittura di Milan traducono molto bene la delicatezza di queste situazioni interiori, aritmicamente scandite in modo ordinato. Ma dove interviene un'incognita, una rottura di simmetria, perlopiù un cielo rannuvolato e minaccioso, a far capire che dietro quest'ordine (dietro questa sorta di siepe leopardiana o di prospettiva dantesca) si cela in verità un clima agonistico, di contrasti.

La pittura di Ro Milan ha pochi eguali alle nostre latitudini,. L'impianto classico e i riferimenti al Novecento sono infatti confrontati anche ad un iperrealismo ben interpretato e non fotografico, oltre che ad un'indagine di tipo minimalistico. Per dire che lo sguardo di questo pittore si estende ben oltre la realtà pittorica ticinese-lombarda, svizzera ed anche europea.


Dalmazio Ambrosioni

 

RO MILAN
 

Nel corso di questi ultimi anni la critica si è espressa più volte, anche autorevolmente, attorno all’opera pittorica di Ro Milan. E spesso è prevalsa una lettura sostanzialmente onirica dei suoi quadri. Infatti fin dai titoli anteposti ai testi critici, compresi i materiali approntati in occasione della recente antologica presso la Galleria “L’Incontro” di Lugano, questa interpretazione appare abbastanza chiaramente: Le zone del sogno, Profonda ricerca dell’ineffabile, Paesaggi interiori, e così via. Ma va notato, anzitutto, che il pittore non adibisce mai i titoli dei suoi quadri a comodi binari ermeneutici mediante i quali condurre in sogno gli scribi. Dovendo allora partire dal dato oggettivo, occorre intanto rilevare l’insistere di Milan sulla tempera, tecnica che per la sua scarsa possibilità d’amalgama cromatico sembrerebbe poco adatta a rappresentare l’evanescente universo onirico. Servendosi in prevalenza di tale medium, di cui ha acquisito un’evidente maestria, Milan indaga il paesaggio, inteso non come idillio o bozzetto, bensì come terreno sfruttato dall’uomo, impoeticamente piegato all’ordine geometrico e al ricavo. Comunque distanziandosi, in ordine a questo motivo, dal modello pittorico più ovvio, quello toscano, terso e classicheggiante. Ma ecco che proprio la difficoltà di sfumare, l’assenza di zone di transizione morbida e la bidimensionalità caratteristiche della tempera vengono rifunzionalizzate a rappresentare questa sorta di opificio en plein air, con un ridottissimo ventaglio cromatico, un brusco passaggio da un colore all’altro e un effetto di appiattimento bidimensionale (ciò che è lontano appare in alto; ciò che è vicino appare in basso). D’altra parte lo schema compositivo ossessivamente reiterato e con un vago effetto di patchwork traduce visivamente le cadenze sequenziali del territorio “messo a frutto”, visto comunque da un’angolatura leggermente rialzata, come se l’osservatore di trovasse su un terrapieno. Ma un ulteriore indizio che denuncia una visione in qualche modo “perturbata” sono le brusche delimitazioni imposte alle estremità dei quadri, sorta di saracinesche solo parzialmente alzate e attraverso le quali l’occhio coglie una porzione implacabilmente ristretta del paesaggio. Ora, se proprio si dovesse oggettivare tale lettura, non si saprebbe a che altro elemento diaframmatico ricorrere se non al finestrino di un treno. In tal caso, recuperando per altra via l’iniziale postulato onirico, si potrebbe concludere che la pittura di Ro Milan per un verso rappresenta un’innovazione dal punto di vista tecnico (una pittura eseguita, o almeno ispirata, all’interno di un treno in corsa lungo un imprecisato paesaggio, comunque certamente lombardo), per l’altro ricopre la realtà di un invincibile senso di fuggevolezza e di istantaneità.

Manuel Rossello  

su Cenobio nr. 4 del 2003

   



ALL RIGHTS RESERVED
replica watches sale
replica watches